riciclo tessile

Dagli abiti usati si potrebbe ottenere un risparmio di 45 milioni di euro all’anno. Dai negozi di abiti e accessori vintage ai Paesi del Sud del mondo: il riciclo tessile è una realtà che produce posti di lavoro nel rispetto dell’ambiente, sostenendo le persone bisognose e permettendo alle amministrazioni pubbliche di risparmiare circa 40mila euro all’anno. 

Riciclo tessile: gli abiti usati hanno sette vite come i gatti

Una volta c’era il cappotto “buono”, quello che la zia dava a tua mamma, la quale lo faceva sistemare dalla sarta perché potesse andare bene anche a te: neanche cinquant’anni fa, in Italia, gli abiti e gli accessori vivevano più a lungo e in modo più dignitoso mentre oggi finiscono nella spazzatura 16 kg di tessuto pro capite all’anno e solo il 12 % viene riciclato. Il restante tessuto viene gettato nella spazzatura e smaltito con un costo che varia dai 0,15 euro ai 0,20 euro al chilo e danni ambientali significativi.

Recuperare è fondamentale

Basti pensare che raccogliendo un solo chilo di indumenti usati si può ridurre di 3,6 kg l’emissione di Co2, di 0,5 kg l’impiego di pesticidi ed insetticidi e di 6000 l l’utilizzo di acqua, senza contare che, considerando un potenziale di 300mila tonnellate, il nostro Paese potrebbe risparmiare ben 45 milioni di euro all’anno.

Così muore il settore del riciclo tessile, un settore fondamentale per l’ambiente e l’economia che potrebbe vivere molto più a lungo. La prima vita degli abiti si esaurisce tra produzione, trasporto e distribuzione nei punti vendita: i capi sono perfetti, pronti a essere acquistati per la prima volta.

All’interno di borse di plastica e carta intraprendono il viaggio che li porta nei nostri guardaroba, iniziando così la loro seconda esistenza: alcuni di loro verranno sfruttati moltissimo, altri solo per una stagione, la maggior parte per molto meno (ogni italiano possiede circa sette abiti che non indossa più).

Professionisti del riciclo

A questo punto “gli inutilizzati”, in genere, muoiono nella spazzatura, con le conseguenze ambientali e finanziarie già accennate, senza mai scoprire che in realtà avrebbero potuto iniziare una nuova vita grazie a negozi di abiti vintage e swapping: i primi sono molto diffusi nei Paesi anglosassoni e in Germania mentre la seconda è una pratica nata a Manhattan sotto forma di swap party ovvero un’occasione di incontro e scambio di capi usati.

Quando gli abiti esauriscono il loro appeal all’interno degli armadi, entrano in gioco i professionisti del riciclo: in Germania se ne occupano 15mila persone mentre nel nostro Paese esistono associazioni come Humana People to People Italia Onlus, che denuncia la mancanza di una quadro normativo adeguato, in grado di regolare un mercato che sempre più spesso finisce per diventare più lucroso che benefico.

Specialisti del settore

Ecco perché occorre affidarsi a specialisti del settore come I:CO, seguendo l’esempio di OVS e H&M, due catene di abbigliamento che, in collaborazione con il leader mondiale nel riciclo dei prodotti tessili, hanno deciso di raccogliere gli indumenti usati dei loro clienti barattandoli con buoni sconto da spendere nei loro punti vendita.

Di qui in poi, di tutto ciò che non si riutilizza come capo di abbigliamento, il 20% rinasce come pezzame per l’industria, il 10% si usa per il recupero della materia prima e solo il 5% viene etichettato come scarto.

Un proverbio cinese ricorda «quando ti vesti ricorda il tessitore, quando ti cibi ricorda il contadino, quando bevi al ruscello ricorda la fonte»: in tempi di crisi economica e spesso anche creativa, è un vero peccato gettar via una risorsa così importante.

 

 

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