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La Fondazione che tutela la Biodiversità di Slow Food si è ormai consolidata come sostenitrice della produzione di qualità e della buona agricoltura in sintonia con la terra e gli uomini. 

Slow Food: tutelare la biodiversità

Fondata da Carlo Petrini nel 1986, Slow Food è diventata qualche anno dopo un’Associazione internazionale cui, nel 2003, si è affiancata la Fondazione per la tutela delle Biodiversità Onlus che coordina numerosi progetti (Presìdi, Mercati della Terra, Orti in Africa) e opera in più di cinquanta Paesi, coinvolgendo più di diecimila piccoli produttori  e mettendo in campo progetti a vantaggio della salute dell’ecosistema e delle economie locali.

La battaglia a favore dell’educazione del gusto come migliore difesa contro la cattiva qualità, le frodi alimentari e l’omologazione dei nostri pasti ha fatto crescere una realtà che va dall’attività editoriale ai Presìdi in Italia e all’estero. Dalle manifestazioni internazionali come Il Salone del Gusto e Terra Madre, alle iniziative come Mille Orti in Africa, i Mercati della Terra o L’Arca del Gusto per mappare i prodotti da salvaguardare.

La produzione del cibo

Uno dei nodi centrali, tra le sfide che ci mette di fronte la post modernità, è il sistema di produzione, di distribuzione e di consumo del cibo. È tempo di progetti in sintonia con la sostenibilità, coniugata al gusto per la vita attraverso il primo tassello con cui affermiamo la nostra capacità di sopravvivere nel mondo: un pasto a misura d’uomo.

Nel lontano 1996, in occasione del primo Salone del Gusto di Torino, era nato il progetto L’Arca del Gusto: “Per preservare la piccola produzione agroalimentare artigianale di qualità dal diluvio dell’omologazione industriale; per impedire che la velocità divori ed estingua centinaia di razze animali, di salumi, di formaggi, di erbe commestibili spontanee o coltivate, di cereali, di frutta. Perché cresca l’educazione del gusto; per combattere l’iperigienismo esasperato, che uccide la particolarità di molte produzioni; per tutelare il diritto al piacere del buon cibo e della convivialità”, come recitava l’atto fondativo.

Progetto in espansione

Nel tempo, questo progetto è cresciuto e si è esteso a tanti prodotti e Paesi. Per fare un ulteriore passo avanti, Slow Food al Salone del Gusto del 2000 ha presentato i primi 90 Presìdi italiani. Negli anni successivi il progetto crescerà non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi del mondo. In molti casi l’attenzione per gli aspetti sociali come il coinvolgimento delle donne o l’alfabetizzazione dei produttori diventa determinante. Inoltre, nel sud del mondo, Slow Food fornisce ai produttori assistenza tecnica, formazione, attrezzature.

In Italia gli oltre 200 Presìdi coinvolgono più di mille 600 piccoli produttori (contadini, pescatori, norcini, pastori, casari, fornai, pasticceri…) mentre nel mondo se ne contano oltre 400 per diecimila produttori.

In concreto, i Presìdi slow food hanno effettivamente contribuito a salvare numerose razze animali, specie vegetali, formaggi, pani e salumi che rischiavano l’estinzione, ma anche saperi e tradizioni aiutando centinaia di produttori affinché potessero proseguire la propria attività, favorendo il contatto tra consumatori interessati alla qualità e disponibili a pagare un prezzo equo e remunerativo.

Hanno dunque materialmente contribuito a dimostrare che un’altra agricoltura e un’altra produzione alimentare sono possibili in ogni angolo del mondo.

Quali sono gli obiettivi

Gli obiettivi generali dei Presìdi sono molti, complessi e di natura diversa, ma riconducibili a quattro punti principali di cui quello economico è sicuramente imprescindibile (i prodotti dei Presìdi stavano scomparendo perché non remunerativi e i produttori, per proseguire la loro attività, devono innanzitutto avere qualche garanzia economica in più), ma sono cruciali anche l’aspetto ambientale, sociale e culturale.

Ci sono quelli economici che consistono nel migliorare la remunerazione dei produttori, sviluppare un indotto locale e aumentare l’occupazione sono gli unici misurabili con indicatori numerici, così come la variazione dei prezzi, delle quantità prodotte, del numero di addetti. Tutti gli altri aspetti, invece, richiedono un approccio diverso e sono più difficili da classificare e ricondurre a parametri omogenei, ma forse rappresentano la dimensione e la sfida più interessante e importante dell’attività dell’organizzazione.

Gli altri ambientali (salvaguardare la biodiversità, migliorare la sostenibilità delle produzioni) sono imprescindibili nell’attività di ogni Presìdio: ogni disciplinare richiede ai produttori di eliminare o ridurre trattamenti chimici, di garantire il benessere animale (con sistemi di allevamento estensivi, spazi adeguati, nessuna forzatura alimentare), di salvaguardare – dove possibile – razze locali e varietà vegetali autoctone, di ricorrere quando possibile, all’uso di energie rinnovabili e di ridurre al minimo l’impatto ambientale del packaging.

Progetti ambiziosi

Quelli sociali (migliorare il ruolo sociale dei produttori, rafforzare la loro capacità organizzativa) si possono misurare verificando se il Presìdio abbia creato un’associazione o una qualche altra forma organizzativa, se i produttori abbiano migliorato la loro capacità di relazionarsi con istituzioni pubbliche e private, se sia aumentata la loro notorietà e se la loro voce abbia più peso, grazie anche all’attenzione dei mezzi di comunicazione.

Gli obiettivi culturali (rafforzamento dell’identità culturale dei produttori e valorizzazione delle zone di produzione) sono legati alla capacità o meno del Presìdio di stimolare la realizzazione di pubblicazioni dedicate al territorio, la nascita di itinerari turistici e di altre iniziative culturali, il recupero di edifici storici e così via.

Ogni anno i risultati nei settori economici, ambientali, sociali e culturali dei Presìdi sono esposti nel Bilancio Sociale della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus.

In concreto, cosa fa un presidio?

Ma in pratica cosa fa il Presidio? In primo luogo cerca i produttori, scovandoli sul territorio e riunendoli con il coinvolgimento anche di tecnici, istituzioni e di chiunque sia interessato al progetto.

In secondo luogo identifica l’area di produzione e, grazie al confronto con i singoli produttori, raccoglie tutte le informazioni necessarie alla stesura di un disciplinare di produzione: uno strumento importante per garantire la completa tracciabilità, l’artigianalità e l’alta qualità del prodotto.

A seguire, aiuta i produttori a riunirsi in un’associazione (o cooperativa, consorzio, ecc.) con un nome e un marchio comuni.

La quarta fase è quella della comunicazione che racconta ai consumatori di tutto il mondo che esiste un prodotto straordinario e che cercarlo, acquistarlo e assaggiarlo è un grande piacere per il gusto, un modo per conoscere la storia e le tradizioni di un territorio e per preservarne la grande cultura. Quello che state apprendendo anche voi lettori.

Esempi concreti

Sono esempi concreti e virtuosi di un nuovo modello di agricoltura, basata sulla qualità delle materie prime, sul recupero dei saperi e delle tecniche produttive tradizionali, nel rispetto delle stagioni, del benessere animale e di condizioni di lavoro dignitose e attente ai diritti.

Sono condizioni che rafforzano le economie e le culture locali, favorendo la costituzione di un’alleanza forte tra chi produce e chi consuma. I produttori sono riuniti in associazioni che assicurano il rispetto delle regole esercitando un severo controllo sui propri associati.

Con lo stesso spirito opera anche L’Arca del Gusto, che cerca, cataloga e descrive sapori dimenticati e prodotti a rischio di estinzione, ma ancora vivi e che potrebbero essere riscoperti e tornare sul mercato.

 

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