forno-comunitario

In centinaia di paesini d’Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, ci si può ancora imbattere in un forno comunitario, magari costruito già alla metà dell’800, e di cui ci si serviva per accumulare le provviste per tutto l’anno. Oggi, i forni comunitari ristrutturati sono diventati un’attrazione turistica. 

Forni comunitari a nuova vita

Belli ed ecologici tornano in auge i forni comunitari, che con l’urbanizzazione e il conseguente disgregamento delle comunità locali avevano perso la loro importante funzione.

La maggior parte risulta infatti ancora abbandonata, ma oggi in un’ottica di valorizzazione delle antiche tradizioni e in tempi di aumento del costo del grano, sta aumentando progressivamente il numero di  quelli che ritornano alla vita, seppur per brevi periodi all’anno, recuperando la loro funzione di aggregazione e sussistenza. Il primo e più noto tra quelli recuperati è stato inaugurato qualche hanno fa a Torino. Qui invece ecco le notizie su alcuni di quelli meno noti.

Valle d’Aosta

I forni comunitari si sono diffusi principalmente proprio in questa regione. Ogni villaggio era provvisto di almeno un forno dove le famiglie cuocevano a turno il pane di segale per il proprio consumo, di solito una volta all’anno, all’inizio dell’inverno.

Era collocato all’interno del villaggio ed era dimensionato proporzionalmente alle necessità di cottura annuale. Un forno comune poteva cuocere da 30 a 120 pani contemporaneamente; nei villaggi più estesi se ne potevano trovare più di uno. Si trattava di piccoli manufatti in pietra, con l’orditura del tetto in legno e la copertura in lose.

Strutturalmente era costituito da un piano d’appoggio per i pani, all’altezza di circa un metro, su cui veniva impostata la volta emisferica su base circolare. La bocca del forno era ricavata nella facciata che includeva il timpano: il tetto presentava una sporgenza notevole per offrire un buon riparo al fornaio durante il suo lavoro.

Attrazione turistica

Oggi alcuni di questi forni sono stati restaurati e vengono ancora usati: la preparazione comunitaria del pane rimane come elemento di aggregazione della comunità del villaggio e funziona anche da attrazione turistica. In particolare, è il pan ner, che dura tutto l’anno e che si prepara ancora tutti insieme, solitamente prima di Natale.

Un tempo, proprio per le caratteristiche di autosufficienza che contraddistinguevano la vita di una piccola comunità, nei villaggi esistevano certamente uno o più forni, sia di proprietà privata sia collettiva. Era poi tradizione che ciascuna famiglia cuocesse il pane necessario per un intero anno in una sola occasione, iniziando dai primi giorni del mese di dicembre.

Il pane quindi si conservava su rastrelliere di legno dette ratélé e si spezzava solo al momento del consumo con un attrezzo apposito chiamato copapan.

Il venir meno di quella tradizione e il trascorrere del tempo hanno ridotto notevolmente il numero dei forni. Quelli ancora funzionanti presentano varie dimensioni. In particolare, si può notare che lo spazio davanti al forno è ben riparato da eventuale pioggia o neve, mentre è ampio il luogo per raccogliere le ceneri. Queste ultime non si buttavano, ma si utilizzavano (oggi diremmo riciclavano) per la fae bouya, ossia il bucato casalingo.

Saint-Denis

Sono numerosi i forni dislocati nelle diverse frazioni, restaurati dall’amministrazione comunale e di nuovo utilizzati: la preparazione comunitaria del pane rimane un importante momento di aggregazione per il villaggio ed è diventata anche una piacevole attrazione turistica. La Sagra del Forno, che si svolge abitualmente a fine dicembre in località Plau, rappresenta la migliore occasione per conoscere questa secolare tradizione da turisti sostenibili.

Gressoney (Lomattò, Gressoney St. Jean)

Ogni frazione era dotata di un forno comune. Il pane si cuoceva solo una volta all’anno nel mese di novembre o dicembre. I capi famiglia decidevano i turni e la panificazione avveniva a orario continuato, senza interruzioni, e durava circa una settimana.

Piemonte

Specialmente nelle valli occitane, in provincia di Cuneo e Torino, ogni borgata aveva il suo forno comunitario in pietra (lou fourn), dove a turno le numeroso famiglie panificavano, dal giorno dei Santi fin verso Natale. Ogni famiglia, infatti, doveva provvedere al pane per tutto l’anno facendo da quattro a otto infornate a seconda delle esigenze.

In tempi più recenti si panificava con maggior frequenza, cuocendo però un numero minore di pani. Il forno veniva scaldato con legno di larice (mèrsou) e tutti ne offrivano pezzi per il riscaldamento iniziale che richiedeva una grande quantità di combustibile. Se non era preparato con la luna favorevole, il pane ammuffiva e non si conservava.

Per impastare si metteva la farina di segale nella madia, aggiungendo acqua tiepida, sale e pasta lievitata; poi si lasciava fermentare per sei ore, si preparavano le forme rotonde e s’infornava. I pani ottenuti essiccavano nel fienile (lou soulièr). Sistemati su rastrelliere sospese formavano il lou bàuti.

Vari tipi di pane

Si cuoceva anche il pane di patate schiacciate, mescolate alla farina di segale, che tuttavia, si conservava poco. Successivamente, con le migliorate condizioni economiche, si incominciò a preparare il pane mescolando la farina di frumento a quella di segale. La panificazione costituiva un momento faticoso, ma anche gioioso di vita comunitaria, durante il quale – oltre al pane – si mettevano a cuocere nel forno focacce e sformati di verdura e carne.

Un tempo, per fare il pane, il giorno precedente, si portava al forno della legna scelta, che non lasciasse odori o sapori sgradevoli nel pane. Il forno doveva essere prenotato per tempo. La farina necessaria per la panificazione veniva fatta fermentare nella madia dalla sera precedente e, come lievito, era utilizzata la pasta già fermentata e lasciata da coloro che avevano cotto il pane prima.

Quando la temperatura del forno era quella dovuta (lo si verificava inserendo un mazzetto di spighe senza chicchi nel bocca del forno che si carbonizzavano se era troppo caldo), si accatastavano da parte la cenere e i carboni, poi si inserivano le pagnotte precedentemente modellate sull’asse della madia; in questo modo, la cottura proseguiva per un’ora.

Per sfruttare fino in fondo il calore del forno, vi si introduceva il grano saraceno ad arrostire per ricavarne una farina torrefatta che cotta diventava la polenta dei poveri.

Villadossola – frazione di Tappia (Vb)

Il forno è risalente al 1871. Conservato sotto chiave, è aperto al pubblico solo in determinate occasioni, come a Montecretese dove si utilizza per feste locali.

 La Ruà, Ostana (Borgata Bernardi – Cn)

Mentre a inizio ‘900 il forno era privato, al costo di una micca di pane per l’utilizzo, nel 1921 la popolazione, costituita un’apposita società, ha costruito un edificio comune il cui utilizzo era consentito a tutti i soci aderenti. Oggi il forno è tutt’ora funzionante e viene usato dalla popolazione in occasione di feste, in primis quella del pane, nel mese di agosto.

Borgata di Gheit (Cn)

È rimasto attivo fino al 1956. Nella borgata la panificazione avveniva una volta l’anno, alla fine di ottobre, al termine delle operazioni di macinatura dei cereali. Per portare il forno in temperatura occorrevano svariati quintali di legna e oltre dodici ore di tempo. In questa borgata la legna per il riscaldamento del forno era fornita in parti uguali dalle famiglie del paese.

Tuttavia, sia il numero delle volte all’anno in cui si procedeva alla panificazione, sia i criteri con cui veniva fornita la legna per l’accensione del forno o anche per la cottura del pane, variavano da una comunità all’altra. Scaldato il forno, ogni famiglia provvedeva quindi alla preparazione e alla cottura dei propri pani.

Una volta cotti, erano riposti nel fienile a essiccare per tre settimane, quindi sistemati su apposite rastrelliere (in genere appese al soffitto per evitare che fossero raggiunte dai topi) dove si potevano conservare fino all’anno successivo. A tutt’oggi non è stato ancora ripristinato mentre a Tetto Caresmin (Cn) e Monte Alpet (Cn) sono stati recuperati e sono perfettamente funzionanti.

Genola (Cn)

Il forno si utilizza a maggio per la Sagra delle Quaquare. Il prezzo applicato per la cottura è di quattro euro al kg per le cotture fino a 5 kg e di cinque euro al kg per chi ne vuole cuocere quantità superiori.

Oulx – Borgata Savoulx, Val Susa (To)

Il forno di Signols (L’Fur du Sinhòu) viene ancora utilizzato per cuocere il pane di segale e tradizionali torte di mele.

Lombardia

Molti degli antichi forni di questa regione sono stati recuperati grazie all’azione dei volontari di Italia Nostra.

Cascina Croce (Mi)

Trae origine dalla necessità che un tempo avevano le famiglie di campagna di panificare con minore dispendio possibile di risorse, quali il lavoro e la legna. Seguendo un particolare ordine, si alternavano a panificare le varie famiglie della zona.

Oggi, dopo il restauro, i volontari esperti panificatori lo utilizzano volte all’anno durante la Festa del Pane e in occasione della Festa di Cascina Croce. Durante le feste, gli alunni delle scuole hanno l’irripetibile opportunità di ammirare in presa diretta l’arte della panificazione.

L’occasione della Expo 2015 dovrebbe ridare ulteriore smalto a queste strutture spesso ancora presenti nelle strutture delle cascine.

 Nel resto d’Italia

Pescomaggiore (Aq)

Risistemato grazie ai fondi Caritas oggi è utilizzato per la Festa del Pane, in modo che il  prodotto possa essere distribuito a tutte le famiglie del paese. Un momento di socializzazione arricchiti da eventi culturali come concerti nello spazio circostante il forno e lungo il vicolo, presentazione di libri, mostre d’arte, ma anche mercatini per piccoli produttori locali. Si prevede, inoltre, che il forno di possa poi entrare in sinergia con il mulino di San Gregorio, distrutto dal terremoto. La Confcommercio dell’Aquila ha già dato la disponibilità a fornire docenti per corsi di panificazione.

Parco Archeo Minerario di Rocca San Silvestro – Campiglia Marittima (Li)

È collocato in posizione esterna alle abitazioni. Questa struttura, molto capiente, poteva cuocere una notevole quantità di pane, sufficiente per coprire il fabbisogno settimanale di vari nuclei familiari. Le fonti trecentesche riferiscono dell’attività, nelle città toscane, di forni pubblici per gli abitanti residenti nei vari quartieri.

Il forno è stato costruito in una fase piuttosto tarda (fine del XIII-inizi del XIV secolo), quando l’abitazione soprastante il posto di guardia era già stata abbandonata.

Il suo funzionamento era simile a quello dei forni tuttora visibili nelle case coloniche di campagna: il fuoco si accende a contatto con il piano di argilla, sotto la volta, in modo da riscaldare il vano; quindi si procede con la cottura del pane o delle focacce. Il condotto che mette in comunicazione il piano di appoggio con l’apertura in basso aveva la funzione di raccogliere la cenere; al momento dello scavo, era infatti riempito da strati compatti di cenere; durante la cottura il condotto era chiuso con una lastra di pietra.

Alla fine del XIV secolo, in una fase di generale abbandono dell’insediamento, il forno perde la sua funzione primaria e la cavità di cottura viene utilizzata come ripostiglio di attrezzi da lavoro e di oggetti d’uso domestico; sul piano di argilla sono state infatti rinvenute due falci in ferro e un’anforetta in ceramica. Oggi ha valore di  reperto storico.

Casa Bettola – Reggio Emilia

Gestito da un centro sociale, è un bene comune per il quartiere e la città, una risorsa da condividere usato per fare il pane e la pizza, ma anche come punto d’incontro per tessere relazioni e scambiare conoscenze.

Da quanto precede appare chiaro che  l’utilizzo dei forni è prevalentemente di tipo occasionale, quasi sempre in coincidenza con feste locali in funzione di un’aggregazione di tipo comunitario e di riscoperta e valorizzazione di antichi saperi e pratiche.

Ma può essere accompagnato ad attività di formazione e di conoscenza (per gli studenti delle scuole medie ed elementari) dei mestieri della panificazione e ad attività di promozione di tipicità locali e prodotti artigianali. Una funzione che si sta riscoprendo anche come risorsa economica e turistica di grande intelligenza e valore.

 

 

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