Un composto a base di sale, erbe e interiora di pesce lasciati a macerare mesi sotto il sole: ecco il garum degli antichi romani. Le poche notizie sopravvissute sulla sua preparazione, celano in realtà un delicato processo di fermentazione che permetteva di ottenere una salsa sapida e gustosa. L’Isola d’Oro, azienda italiana di conserve ittiche, è riuscita a realizzarlo e riprodurlo: così, con il Garum Romae si può finalmente riscoprire la salsa principe dell’antichità e portare in tavola un pezzo di storia. 

Garum Romae: il condimento ritrovato

“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, cantava Antonello Venditti in “Amici mai”. Che è un po’ quello che è successo anche al garum, un condimento incredibilmente in voga fra gli antichi romani, e che poi, con il dissolversi dell’impero, è lentamente scomparso.

Tutto molto bello, ma cos’era, esattamente, il garum? La definizione, piuttosto semplicistica, è quella di un liquido a base di sale, erbe e interiora di pesce fermentate che permettevano di ottenere una salsa pungente, sapida e dal carattere fortemente umami, considerata una prelibatezza e consumata in tutto l’impero. 

Anche se, a questo proposito le fonti sembrano confuse, si ritiene che la qualità del prodotto dipendesse dalla tipologia di pesce utilizzato: sgombri e tonni erano i più pregiati, e con le loro interiora si realizzava il vero garum, mentre con tutto il resto del pesce sembra si producesse un condimento del tutto simile, ma conosciuto come liquamen.

Origine nella notte dei tempi  

I romani lo amarono, ma non furono certo loro a inventarlo. Prima del garum vi era un garos greco, similmente derivato dalla fermentazione del pesce e, probabilmente, nato dalla necessità di utilizzare piccoli pesci e scarti di interiora, che altrimenti sarebbero stati buttati via. Per i romani invece, la produzione del garum nasceva solo da una necessità di gola, e furono loro a produrlo e commercializzarlo su scala industriale.

La produzione avveniva in luoghi specializzati, costruiti appositamente lontano dai centri abitati per via del fetore che emanavano e vicini alle saline. Qui, in ampie vasche scavate nella roccia, si radunavano strati di sale, pesce ed erbe aromatiche, poi schiacciati con pesi e lasciati sotto il sole per 2-3 mesi. Alla fine si filtrava tutto: il liquido ambrato che se ne ricavava era il garum, mentre con la parte solida si realizzava una pasta di pesce, nota come allec.

Non solo in cucina

Data la sua sapidità, il garum si utilizzava come sostituito del sale, e si aggiungeva un po’ a tutte le pietanze, come anche testimoniato da Apicio, il più noto gastronomo dell’antichità, nel suo De Re Coquiniaria, dove il garum figurava anche nella preparazione di un dolce.

La salsa era poi considerata al pari di un medicinale e utilizzata per medicare punture di insetto, morsi di cane e infiammazione di occhi e stomaco. Certo, forse gli antichi romani prendevano un po’ troppo alla lettera il detto “ciò che non uccide fortifica”, ma è anche vero che il garum doveva essere altamente nutriente, ricco di vitamina B, minerali e proteine, e che, realmente, possedesse proprietà anti infiammatorie, grazie all’alta concentrazione di sale ed enzimi.

Cosa ne è stato 

Con il frammentarsi dell’impero romano, lo scenario economico del Mediterraneo e cambiò e la produzione del garum andò via via scomparendo. La richiesta inferiore, a livello micro territoriale invece che su larga scala, rese la vasta produzione di garum meno redditizia e così, piano piano,  terminò.

È però possibile rintracciare diverse salse equivalenti a base di pesce, che si sono sviluppate indipendentemente. Quella più vicina, geograficamente parlando, è forse la colatura di alici di Cetara, prelibatezza campana, che però si differenzia dal garum per processo di produzione e perché, come suggerisce il nome, si realizza con una sola specie.

Ci sono poi tantissimi esempi nel resto del mondo, come la salsa Worcestershire, il nuoc mam vietnamita, l’aekjeot coreano e il gyosho giapponese, e in generale tutte le fish sauce dei paesi del Sudest asiatico, che ne fanno largo uso in cucina. Un fatto che suggerisce che il gusto per il pesce così conservato, e per quelle note di umami che sprigiona, siano state ricercate dagli esseri umani attraverso il tempo e lo spazio.

La rinascita 

Tant’è che oggi c’è chi ha deciso di replicare l’antico gusto del garum. L’Isola d’Oro, azienda specializzata nelle conserve a base di pesce, con il suo Garum Romae propone un prodotto che è il frutto di ricerca nella tradizione, di sapere nella lavorazione e di innovazione nel risultato, e che punta a valorizzare il patrimonio cultural-gastronomico italiano e di rispettare la materia prima e la qualità degli ingredienti.

Da oltre 60 anni l’azienda, sotto la guida di Ferruccio Zarotti, imprenditore di Parma e partner fondatore, seleziona il miglior pesce certificato sul mercato nazionale e internazionale e sviluppa metodi innovativi di conservazione ittica. Alla qualità si unisce una profonda conoscenza della materia prima, del processo produttivo e del ciclo di lavorazione a mano, che rende unici i prodotti L’Isola d’Oro. 

Vi è poi l’attenzione alla sostenibilità e all’ambiente e, da oggi, anche all’aspetto storico e culturale della conservazione ittica: Garum Romae è anche questo, un piccolo assaggio delle origini e un viaggio alla scoperta dei sapori degli antenati. 

 

 

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Foto @lorsoincucina