L’impressione immediata che fa Tone-Bread Lab non è quella di un semplice panificio. Tutto, dal design minimal quasi scandinavo alle pareti costellate da libri di cucina e alimentazione, alla colonna sonora swing in sottofondo, lascia presagire che oltre al pane ci si porterà a casa qualcosa di più. 

Tone-Bread Lab: pane e cultura

Questo era del resto l’obiettivo di Giovanni Marabese, proprietario e inventore del locale: creare uno spazio che restituisse al pane la sua dignità di cibo antropologico, di simbolo universale e culturale. “Negli ultimi anni c’è stato un grande focus sulla pasta madre, sulla lunga lievitazione e sulle farine antiche e la macinazione a pietra. Mancava qualcosa di culturale e, a Milano un forno tipico georgiano non c’era, così abbiamo aperto Tone”, racconta Giovanni.

Tone però non è solo un forno georgiano, ma un forno del mondo intero, dove il pane di tutti i popoli ha l’opportunità di essere impastato e cotto. Così ogni boccone diventa un piccolo viaggio in una terra lontana, alla scoperta del sapore dell’alimento che ci ha portati dallo stato animale a quello di uomini, gli unici capaci di trasformare la natura in cultura. 

Perché proprio il pane 

La scelta di aprire un panificio non è stata casuale. “Il pane è il cibo più adatto a trasmettere la cultura di un popolo e del suo cibo, perché è strettamente identitario. Il puri è un pane che si produce solo in Georgia, mentre a Milano, per esempio, ci sono le tradizionali michette, ogni piccola enclave ha sviluppato il proprio pane. Poi ogni luogo ha anche i suoi piatti tipici, ma il pane è l’alimento più semplice ed è anche un messaggio diretto di quello che vogliamo fare qui, cioè restare un panificio”. 

World food

Tone rimane un forno italiano, ma risente di forti influssi anche dal nord Europa, come nell’uso delle farine o l’essenza minimal di tutto il locale. Non offre una grande varietà di prodotti, in modo da mantenere una migliore logistica e da variare spesso l’offerta. “Il pane poi riflette anche il background dei nostri dipendenti, di cui almeno la metà è internazionale, perché vogliamo continuare a essere influenzati da personalità e culture diverse. Ci sono alcuni dal Sudamerica, altri dall’Est Europa e non mi dispiacerebbe trovare un panettiere dal Centro o dal Nord dell’Africa, perché vorremmo fare qualcosa di particolare anche in quel senso”. 

Dal mattone al tone

Il tone è il forno tipico georgiano: troneggia in vetrina come una piccola torretta di mattoni d’argilla e dona al locale un’atmosfera esotica. Al suo interno, attaccato alle pareti, si cuoce il shotis puri, un pane georgiano a forma di occhio, a base di farina di grano tenero e farina di segale. “Quest’ultima è usata moltissimo nelle preparazioni, anche se è tipica più dei Paesi nordici che dell’Italia. Ma la diffidenza dei clienti viene sempre vinta dalla bontà e della novità dei pani a farina mista che produce Tone”. 

Pane a forno spento

Oltre alle farine poi da Tone si sperimenta con le cotture. “Da un po’ di tempo, la domenica cuociamo il pane con il tone spento, che comunque rilascia tutto il calore accumulato dal giorno prima. Lo facciamo sia per una questione di risparmio energetico, un tema molto attuale, sia per sperimentarci con nuove tipologie di pane, che hanno tempi di lievitazione e di cottura più corti. Da settembre avremo proprio questa distinzione tra prodotti: cotti a forno acceso o spento”. In questo modo si prepara per esempio un pane islandese che in origine è cotto sotto terra e sfrutta, gratuitamente, l’energia geotermica. 

Pane al pane…

Oltre ai panificati, da Tone è presente una piccola offerta di prodotti rari in via di estinzione. “Stiamo cercando di vendere la Vantarush, una marmellata prodotta da monaci dell’Ordine Mechitarista armeno nell’Isola di San Lazzaro a Venezia e, una volta che avremo il banco frigo, proporremo dei formaggi particolari”. E poi c’è il vino, che insieme al pane forma il binomio per antonomasia. “Il collegamento fra pane e vino è automatico, specialmente per noi italiani”. I vini di Tone non sono però naturali – come hanno scritto in molti – ma vini che provengono da vitigni autoctoni coltivati in modo responsabile e vinificati in modo responsabile. “Il nostro focus è sul vitigno autoctono”, spiega Giovanni. “Questo significa che circa l’80% delle bottiglie che vendiamo appartiene a una sola azienda, da meno di un ettaro, e sono tutti vitigni in via d’estinzione, ritrovati dopo anni di monocoltura di altre varietà. Con le nuove tecnologie si può produrre un buon vino anche partendo da uve storicamente da tavola”.

Giovanni-Marabese

Prima e dopo Tone 

L’apertura del panificio è stato l’ultimo passo di un percorso più lungo. Prima del panificio e prima della pandemia, Giovanni si occupava di organizzare cene antropologiche, che chiamava showcooking. “Tutto è nato perché c’era la pandemia e avevo bisogno di mettere in pratica, in una forma fisica, quello che già facevo: viaggiavo, cercavo cibi particolari, tornavo a Milano e organizzavo delle cene per poi reinvestire tutto nei viaggi in una specie di economia circolare di me stesso”. 

Mix di culture e di gusti

Alcune di queste cene vedevano impegnati cuochi di nazionalità diverse, come per esempio un cuoco piemontese e uno del Bangladesh, che si scambiavano gli ingredienti per creare menù innovativi. I commensali erano invitati a partecipare attivamente alla preparazione dei piatti e poi Giovanni portava anche prodotti alimentari in via d’estinzione, non facili da reperire e sconosciuti ai più.

“L’ottica di quel lavoro era incuriosire le persone, far capire loro che, oltre allo stracchino, al supermercato c’è dell’altro, che è lo stesso che cerchiamo di fare qui da Tone più in grande”. La speranza è di poter aprire un secondo Tone, magari a Copenaghen, anche lì nel rispetto del territorio e del background dei dipendenti.

Nel frattempo, Tone-Bread Lab è stato citato nella Guida del Gambero Rosso per Milano 2023 come una delle realtà emergenti più interessanti del momento.

 

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