Tutto è pronto in Valtellina, terra di grandi formaggi. E’ iniziata la stagione produttiva del Bitto, uno dei formaggi tipici del territorio della Valtellina. Una produzione che affonda le sue radici fin nell’antichità e che si affianca a quella del Valtellina Casera, l’altro grande formaggio Dop di questo bellissimo territorio, che sono oggi riuniti in un Consorzio

Valtellina terra di grandi formaggi

La natura incontaminata, le tradizioni ancora vive nelle valli, l’aria frizzante delle cime alte 4mila metri e una grande ricchezza gastronomica di prodotti unici, come i due formaggi Dop simbolo del territorio: il Bitto e il Valtellina Casera, speciali per le tecniche di lavorazione, le tradizioni e la passione per la montagna.

Paesaggi incontaminati

Saranno 52 gli alpeggi con circa tremila bovine da latte e oltre 300 capre, e dieci gli stagionatori coinvolti nella produzione di uno dei formaggi a latte crudo intero tra i più antichi d’Italia, prodotto da giugno a fine settembre in piccoli caseifici tra i 1.400 e i 2.300 metri di altitudine. Il Valtellina Casera invece è un formaggio semigrasso di latteria la cui produzione si concentra per la maggior parte nei nove mesi invernali in cui le mandrie restano a fondo valle.

Due formaggi un solo territorio

Due formaggi diversissimi eppure entrambi parte dello stesso territorio. Il Bitto è il re dei formaggi d’alpeggio estivo. Le sue origini risalgono alle antiche popolazioni celtiche che abitavano questi territori e alla loro consuetudine di trasformare il latte appena munto in formaggio. Una tradizione rimasta intatta fino a oggi: il Bitto si produce esclusivamente con latte crudo intero proveniente da razze tradizionali della zona, portate in montagna a un’altezza minima di mille e 400 m, la cui alimentazione è costituita prevalentemente da pascolo.

Il Valtellina Casera è invece un formaggio di latteria, che una volta si produceva solo d’inverno, quando il bestiame scendeva a valle. Oggi questo formaggio a pasta semicotta e semidura, realizzato esclusivamente con latte vaccino parzialmente scremato, è in produzione tutto l’anno ed è ideale da gustare e portare in tavola ogni giorno.

Come una volta

Ancora oggi alcuni produttori lavorano il latte crudo come si faceva una volta: nei tipici calécc, antiche costruzioni in pietra, presenti solo nella valle del Bitto. Il Bitto si produce nella provincia di Sondrio e in alcuni comuni limitrofi dell’Alta Val Brembana.

Fu proprio l’alternanza del sistema di allevamento tipico delle regioni alpine – pascoli d’alta quota d’estate e discesa a fondovalle d’inverno – a dare origine alla produzione alternata di queste due diverse tipologie di prodotto: un formaggio a latte intero da alpeggio estivo, il Bitto, e un formaggio semigrasso di latteria prodotto solo in inverno, il Valtellina Casera.

Questa stretta connessione è dimostrata anche dalle radici etimologiche dei due prodotti: Bitu in celtico vuol dire ‘perenne’, e si riferisce quindi a un formaggio di lunga conservazione, mentre il termine Casèra in dialetto valtellinese indica la latteria dove si lavorano i formaggi e il burro, oltre al luogo di stagionatura.

Anche dieci anni di stagionatura

Il Bitto è uno dei rarissimi formaggi al mondo a riuscire a stagionare per oltre dieci anni. Il Bitto stagionato ha pasta dura e friabile dal colore paglierino tendente al giallo. Ha un gusto intenso e via via più piccante in base al periodo di stagionatura. Il Bitto giovane, invece, è caratterizzato da pasta semidura e dal colore bianco tendente al paglierino, ha un’occhiatura diffusa. La crosta è sottile e gialla e ha un gusto delicato e dolce. Tipica usanza dei produttori valtellinesi è quella di custodire gelosamente una forma di Bitto o Valtellina Casera e lasciarla invecchiare per anni per poi aprirla solo per un’occasione o ricorrenza speciale in segno di augurio e buon auspicio.

Dalle vette alle valli

Un tempo la produzione di Valtellina Casera era solo invernale. Oggi gli allevatori riescono ad assicurare una produzione estesa a tutto l’arco dell’anno grazie alle mandrie che rigano stanziali nella vallata. Diversa, invece, e più articolata la produzione del Bitto che prevede che le mandrie di razza bruna alpina, dal primo giugno al 30 settembre, raggiungano alpeggi a 1.400- 2.300 metri di altitudine, spostandosi da quote intermedie a quote più elevate per poi ritornare a fine estate a valle. In questi tre mesi di alpeggio, la mandria è condotta attraverso un percorso a tappe, che va dalla stazione più bassa a quella più alta. Fu proprio quest’alternanza del sistema di allevamento a dare origine alla produzione alternata di queste due diverse tipologie di prodotti in Valtellina.

50 sfumature di giallo 

Anche il colore è diverso nei due formaggi: il Valtellina Casera si presenta con una crosta sottile e consistente che va dal bianco al giallo paglierino e che diventa più intenso con il procedere della stagionatura. Il Bitto Dop, invece, si presenta con un colore giallo più intenso dovuto alla permanenza delle mucche da latte in alpeggio: la forte concentrazione di betacarotene presente nelle erbe conferisce l’inconfondibile giallo intenso tipico della pasta di questo speciale formaggio, unico al mondo. 

Come si gustano

Forchetta e coltello sono banditi: il Bitto è un formaggio da mordere nella sua autenticità e si prende e degusta con le mani. Per apprezzare i suoi profumi di erbe di alta montagna bisogna romperlo, lasciar uscire le sensazioni odorose e inspirare i sentori che ne escono. L’ideale è degustarlo in purezza su un tagliere abbinato a vini rossi valtellinesi da meditazione. 

Sa di latte dolce invece il Valtellina Casera, sapore che diventa più intenso e ricco con il procedere della stagionatura, acquistando una nota di frutta secca, con un particolare aroma di foraggio, più intenso con il procedere della stagionatura. Il Valtellina Casera può essere usato anche grattugiato come condimento e si abbina molto bene alle specialità a base di grano saraceno, un ingrediente primario di numerosi piatti tipici valtellinesi, come i pizzoccheri, la polenta taragna e gli inimitabili sciatt. 

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Foto Ufficio Stampa