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Secondo i risultati dello studio semestrale dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che monitora i fenomeni di consumo nella Gdo, emerge che, nonostante l’inflazione, gli italiani siano molto attratti e disposti a pagare di più per i prodotti ‘free-from’ e ‘rich-in’, ovvero poveri o ricchi di un determinato ingrediente. I consumatori sono stretti fra marketing e salute: maggiore consapevolezza, oppure potenza dei claim salutistici nelle scelte di consumo? 

Consumatori fra marketing e salute 

“Non mangiare nulla che tua nonna non riconoscerebbe come cibo”, asseriva Michael Pollan, celebre giornalista e saggista ed esperto di temi che riguardano l’industria alimentare. Un’affermazione che è facile a dirsi, ma molto più difficile a farsi, a partire proprio dal carrello della spesa. 

Da un lato, i consumatori sono quotidianamente bombardati da notizie (pseudo)scientifiche che elogiano o demonizzano le proprietà degli alimenti: “Un grammo in meno di sale eviterebbe milioni di infarti” e “Basta un poco di zucchero e la salute ne risente”, sono solo alcuni dei titoloni di giornale che fanno breccia nella coscienza del lettore. Nessuno desidera ammalarsi e, se la dieta può avere un effetto benefico sulla salute, tanto vale seguire i precetti della scienza. 

Additivi e integratori

Dall’altro lato, però, l’industria alimentare ci sguazza. Cavalca l’onda dell’allarmismo e la fomenta, e immette sul mercato prodotti ‘ricchi di’ o ‘poveri di’, che promettono di allungare la vita o migliorarne la qualità.

E così, preso all’amo come un pesce, il consumatore cede alla pressione mediatica e a quella del marketing, e mette nel carrello proprio quei prodotti che promettono di liberarlo dal male di alcuni ingredienti o di garantirgli una salute di ferro.

È questo uno dei dati principali rilevati dal report dell’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, lo studio semestrale che monitora i fenomeni di consumo nella Grande Distribuzione Organizzata, scaricabile gratuitamente dal sito osservatorioimmagino.it.

I risultati dello studio 

Lo studio ha riportato che la vendita dei prodotti con claim “free from”, che è presente su quasi il 17% dei prodotti confezionati presenti nei supermercati e ipermercati italiani, ha superato i 7 miliardi di fatturato, con una crescita del +6% rispetto all’anno passato, in barba all’inflazione e all’aumento dei prezzi.

In particolare, il claim che ha riscosso maggior successo fra i consumatori, e che ha aumentato le vendite, è ‘senza conservanti’, presente sulle etichette di 4mila 363 prodotti, che hanno realizzato una vendita pari a 2,7 miliardi di euro, con un aumento annuo del +3,7%.

Il secondo posto sul podio se lo è invece aggiudicato ‘senza olio di palma’, presente su 2mila 806 prodotti e fautore di 1,7 miliardi di euro di vendite.

E ancora, ‘senza zuccheri aggiunti’ e ‘pochi zuccheri’, “senza antibiotici, additivi, glutammato, polifosfati e senza OGM”, per un totale di 16 claim che hanno attratto, con più o meno successo, le scelte dei consumatori.

Per quanto riguarda invece il claim di “rich in”, riguardante prodotti arricchiti di un determinato ingrediente, sono stati riscontrati oltre 10 mila prodotti, che hanno portato a un fatturato di 4,4 miliardi e a una crescita del +7,8%.

Tra i 12 claim, svetta quella relativo all’aumento di proteine, presente su 2.866 prodotti, che ha generato un fatturato pari a1,4 miliardi di euro. Ma sono anche presenti messaggi relativi a un maggiore apporto di zinco, magnesio e potassio, perché scegliere di mangiare una banana non va più di moda, o comunque non ingrossa le tasche di chi lavora per l’industria alimentare. 

Giudizio e consapevolezza 

Sempre citando Michael Pollan: “La più naturale delle attività umane, scegliere cosa mangiare, è diventata in qualche modo un’impresa che richiede un notevole aiuto da parte degli esperti”.

Come siamo arrivati a questo punto?”. Le persone hanno davvero bisogno di ridurre o aumentare l’apporto di nutrienti naturalmente presenti nel cibo per sentirsi meglio o migliorare la qualità della propria dieta? Forse, a causa delle rapaci strategie di vendita di chi ci guadagna, si è persa la capacità di giudizio che un tempo era innata, perché nutrirsi è un bisogno semplice, essenziale alla vita.

Una dieta bilanciata è funzionale per la buona salute, ma per farlo forse non serve necessariamente ridurre o aumentare un alimento, che di per sé non è né nocivo né benefico, ma deve essere solo consumato con consapevolezza: grassi, zuccheri e sale non rappresentano il male in tavola. Il vero pericolo è spegnere la propria coscienza e affidarsi ciecamente agli slogan del marketing, ai quali non interessa la salute delle persone ma solo il profitto. 

 

 

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