Ricordi dal passato, suggestioni naturali, mostre d’arte e saggi di fisica: sono questi gli elementi che descrivono il processo creativo dello chef Giuseppe Papallo, alla guida del ristorante L’Architettura del Cibo, che è stato recentemente premiato con il primo posto nella classifica Top 100 di TheFork.
Giuseppe Papallo: mood contemporaneo
Ci sono professioni che sono, più che altro, destini. È questo la storia di Giuseppe Papallo, lo chef friulano a capo di L’Architettura del Cibo, il ristorante di haute cuisine fiorentino che, quest’anno, è risultato primo nella classifica Top 100 di TheFork.
Un destino che lo segna ancor prima di nascere, mentre la madre, incinta di lui, lavorava nel ristorante di famiglia in Friuli. Vero e proprio figlio d’arte, Giuseppe muove letteralmente i primi passi nel locale dei genitori: “Quegli spazi sono diventati familiari”, racconta Giuseppe. “La sala di un ristorante, la cucina, sono spazi che mi evocano familiarità. Da lì è avvenuta la mia trasformazione e la scelta di farlo diventare il mio lavoro è sempre stata chiara”.
Dopo l’infanzia, trascorsa in montagna tra Palmanova e Villa Santina, prosegue gli studi a Grado, in provincia di Gorizia. Scopre così la laguna e la cucina di mare, che cambia completamente la sua visione e trasforma la sua esperienza in cucina.
Amore per la Toscana
Poi, a soli 19 anni, arriva l’esperienza significativa presso Il Colombaio, ristorante (all’epoca) stellato dello chef Vincenzo Di Grande a Casole D’Elsa. Questo incontro ha per Giuseppe due risvolti felici: quello di avvicinarlo alla cucina toscana e quello di farlo per sempre innamorare delle dolci colline senesi.
“Un territorio fatto di orizzonti infiniti, nel quale si percepisce la stagionalità, un aspetto che non avevo appreso in montagna, dove l’estate semplicemente porta con sé la pioggia, dove il tempo è mutevole e il clima rigido. La Toscana è stata una visione romantica della mia esperienza personale, dalla quale non mi sono poi più allontanato”.
Non per questo Giuseppe Papallo rinnega la montagna. Anzi, la sua terra d’origine e l’esperienza maturata nel locale di famiglia sono fonte di immagini suggestive e primigenie: come la grande stufa centrale del ristorante, che andava pulita e grattata con la carta vetrata, e come un’idea di cucina come ambiente caldo e pericoloso, così diverso da quella ampia, spaziosa, completamente a vista, di L’Architettura del cibo.
Cucina di visioni
Proprio con L’Architettura del cibo, Giuseppe porta avanti con amore e dedizione la sua idea di cucina. Una cucina fatta di visioni, da quelle più concrete e intime, come quelle che gli derivano dall’infanzia o che nascono semplicemente da una passeggiata col cane in collina, a quelle fantastiche e trascendentali, che gli ispirano le mostre d’arte e le sue letture di fisica.
“La scienza, lo studio della relatività e dei quanti mi permettono di lavorare con l’immaginazione”, spiega Giuseppe. “Quando leggo testi scientifici, non ho un approccio tecnico, ma mi affascina l’effetto sorpresa che generano su di me questi argomenti. Posso solo immaginare che forma abbia un atomo, o altri elementi invisibili all’occhio umano, ma in questo modo lascio lavorare l’immaginazione, il che si riflette inconsapevolmente nel mio modo di esprimermi e in cucina”.
“E questo – continua lo chef, che si definisce curioso per natura – è uno dei tanti stimoli per rinnovarsi continuamente, trovare l’ispirazione, sentirsi coinvolto e coinvolgere anche tutto il team”. La sua idea è quella di una cucina, prima di tutto, autentica, capace di trasmettere i suoi ricordi, fatti di piccole esperienze in locali che oggi suonerebbero preistorici, ma che in realtà promuovevano concetti che oggi sono tornati in voga, come il km zero.
Solo che una volta non si chiamava km zero, ma si diceva: “Vai nell’orto a raccogliere i pomodori!”. Ed era, spiega, anche l’unica cosa che si potesse fare in montagna, dove non esisteva la grande distribuzione e dove era necessario sfruttare il proprio ingegno per costruire qualcosa con poco.
Creatività in cucina e sostenibilità
Quella stessa creatività che permetteva di vedere l’invisibile, partendo da poco o quasi nulla, oggi Giuseppe la porta sul menù. Per esempio, in un piatto interamente a base di cipolla. Così, un ortaggio così umile, è interamente nobilitato e valorizzato, grazie all’uso sapiente di tecniche di cottura diverse, da quella sotto cenere di ulivo all’altra in pentola di ghisa. Ma le variegate influenze della sua vita si ritrovano anche nei tre menù degustazione: A mano libera (7 portate, 95 euro), Architetture marine e Architetture della terra (4 portate, 75 euro).
Le scelte dello chef sono attente anche alla questione ambientale: da un lato, con la scelta di materie prime, selezionate per provenienza e stagionalità, dall’altro, nella valorizzazione di ogni singola parte dell’ingrediente.
“Il riutilizzo è quel valore aggiunto che ogni singola preparazione può offrire – spiega Giuseppe – il benessere che ci accompagna nella nostra epoca ce lo fa un po’ dimenticare, ma voglio passare questo messaggio in cucina ai miei ragazzi: di riutilizzare per tantissimi altri scopi tutto quello che rimane come scarto”.
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Foto Ufficio Stampa
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