Scrivere o cucinare? Sembra essere questo il dilemma per Matteo Colombo, giornalista, scrittore e appassionato di cucina, autore del giallo culinario Q.B. Luca Renati l’ha intervistato per Parliamo di Cucina.
Colombo, di cosa parla “Q.B.”?
Q.B., scritto in maiuscolo – titolo del romanzo di Colombo uscito nella neonata collana di narrativa diretta da Flavio Santi per le Edizioni Unicopli, “La porta dei dèmoni” – è un giallo ambientato nel mondo degli chef stellati e dei ristoranti da gourmet. Il tema alla base di una storia elegante, garbata e avvincente è l’arte culinaria, che diventa metafora, con le ricette quale modo per ordinare il mondo, come in “Ratatouille”, il lungometraggio della Pixar in cui i simpatici topolini protagonisti preparano dall’inizio alla fine piatti succulenti.
Scritto minuscolo, in cucina, q.b. significa notoriamente “quanto basta”. Qui però, in maiuscolo, sono le iniziali di Quinto Botero, lo chef in auge al momento. I piatti che ogni giorno compaiono sui tavoli del suo ristorante sono frutto di una mente complessa, raffinata e dedita a un ideale di perfezione. Botero è un uomo non troppo simpatico, il cui talento eccede ogni possibile critica, almeno finché qualcuno gli uccide il nuovo assistente, Toni. Un colpo di pistola alla nuca che lo costringerà a confrontarsi con la lunga schiera dei collaboratori, con le amicizie di un tempo, le rivalità fra colleghi. Così, mentre le indagini vengono affidate al ruvido commissario Stoppani, Botero deciderà di seguire per conto suo le tracce di un killer le cui motivazioni lo riguardano anche troppo da vicino. Tutto sotto lo sguardo coinvolto di Toni che, da un indefinibile altrove, scopre, finalmente, chi lo ha freddato.
Quindi lei ha un debole per la cucina?
Non sono un bravo cuoco, ma un’ottima forchetta sì! Mi piace frequentare i ristoranti, osservare le persone a tavola e l’ambiente, ascoltare i camerieri. Trovo il ristorante un luogo ricco d’ispirazione per uno scrittore. Stimola la mia fantasia e la mia creatività.
Vuol dire che ha deciso di scrivere questo romanzo in un ristorante?
Quasi. L’idea mi è balenata in un momento preciso: era il 2011 ed ero a cena, una sera, in una pizzeria, una delle peggiori della mia zona, in provincia di Pavia, dove avevo mangiato male. Ho abbozzato la trama in due settimane. Poi ha preso il via una gestazione lunghissima. L’ho riscritta, abbandonata, lasciata in sospeso, ripresa. Ho condotto una ricerca sui piatti citati nei romanzi della regina del giallo, Agatha Christie. Mi sono documentato e poi è venuto il suo momento. In questo lavoro bisogna avere tanta pazienza e saper aspettare. Anche in cucina, forse.
Ci dica di più di Q.B, Quinto Botero…
Lui non è solamente una cooking-star come se ne celebrano molte di questi tempi: è un uomo perseguitato dalla sua stessa intelligenza, dal bisogno di capire, smontare e illuminare con la propria intuizione qualsiasi cosa gli capiti fra le mani, anche il disegno omicida del più accanito fra gli assassini. Nel romanzo, l’arte culinaria si oppone – e spesso si sovrappone – alla strategia del crimine. Vi sorprenderete a confondere le pratiche di un omicidio rituale con la preparazione di una ricetta. Ma non pensate a vecchi refrain come “il delitto è servito”, Botero ha in serbo qualcosa di più sottile.
Come cucina Botero?
Quando è ai fornelli Botero procede per sottrazione. Va al cuore della creatività, isola ed esalta gli ingredienti. Un po’ come me, che nelle continue riscritture del romanzo sono andato avanti “in levare”, cancellando. Coltivando l’illusione di arrivare a selezionare le parole esatte per “nominare” le cose.
Mi fa un esempio di ricetta per sottrazione, “in levare”?
Nel suo primo incontro con Toni, Botero parla di come prepara i gamberoni. Non è esattamente una ricetta, ma chiarisce bene quale sia la sua idea di cucina “in levare”. Prende un gamberone dal frigorifero, lo passa sotto l’acqua corrente, lo sguscia, ci fa cadere sopra qualche cristallo di sale grosso e lo addenta. Poi chiede a Toni: “Hai sentito la musica che fa quando lo spezzi in due, con i denti?”. E aggiunge: “La sai la poesia? Una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa… e un gamberone è un gamberone, è un gamberone”. Infine, davanti alla faccia stupita dell’apprendista, conclude: “Se ai clienti proponi un gamberone, devono accorgersi, dal suono che fa sotto i loro denti, che è appena pescato. E che sa di mare. La salsa lo ammazza il pesce. Lo stesso vale per il limone e per il formaggio sopra gli spaghetti”. Ecco, Botero tende a non aggiungere, ma a togliere.
Quindi nessun piatto elaborato per uno chef veramente chic?
Ma no, certo, Botero crea, inventa… Ecco alcuni piatti che ha inserito nel menu per il giorno di Natale: insalata di aringhe, zuppa di ostriche, aragosta bollita, astice agli aromi, tacchino farcito al bacon, pernici nel nido, paté di anatra in crosta, Christmas pudding. Anche lui aggiunge, ma solo lo stretto necessario, quello che esalta, non altro, non oltre. Niente di superfluo.
Ma il piatto preferito di Botero?
Dopo aver proposto grandi invenzioni culinarie, Botero si concede il lusso di cucinarsi… le uova con il pomodoro. Alla fine è questa la mia idea di cucina: recuperare i piatti che parlano della nostra storia, delle nostre radici, quelli che ci preparava nostra nonna.
Luca Renati
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